La pedagogia di Henri Bergson

La pedagogia di Henri Bergson può essere compresa e schematizzata a partire da alcune parole-chiave: spiritualismo, pedagogia dello sforzo, slancio vitale, tempo come durata, libertà.

Bergson non è un pedagogista in senso stretto, ma considera la filosofia come uno strumento di formazione. Pur non avendo lasciato opere dedicate alla pedagogia, interessanti spunti di riflessione pedagogica possono essere raccolte attraverso la lettura delle sue opere filosofiche.

La pedagogia di Henri Bergson

La filosofia di Henri Bergson: il tempo come durata

Henri Bergson è interessato alla scienza e alle sue leggi, ma riprende i temi dello spiritualismo dell’ ‘800. La sua riflessione parte dalla constatazione che il tempo non è solo quello della scienza, misurabile e oggettivo, ma anche quello della coscienza, quindi soggettivo (Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889).

Il tempo oggettivo, quello della scienza, è misurabile, irreversibile, spazializzato, fatto di istanti identici.

Il tempo soggettivo, che Bergson chiama durata, è il tempo della coscienza umana; è un tempo reversibile, perché la mente umana può andare avanti e indietro nei ricordi; è soggettivo perché costituito da ricordi che possono avere diversi gradi di importanza per noi. Per questo motivo, alcuni episodi recenti della nostra vita appaiono sbiaditi, mentre altri eventi per noi importanti, ma vissuti anche in un passato meno recente, sembrano più nitidi.

Proprio perché le cose stanno così, Bergson distingue la memoria dal ricordo (Materia e memoria, 1896): la memoria è il semplice archivio di tutte le cose passate, mentre il ricordo è il recupero consapevole di alcuni dati (questa concezione ha avuto molta importanza anche per le scienze umane, l’antropologia e la sociologia, in quanto ha permesso di chiarire alcuni meccanismi della memoria collettiva. La memoria come durata è stata presa come modello anche dalla sociologia qualitativa e da alcune metodologie di interpretazione antropologica).

Lo slancio vitale

Partendo da queste premesse, Bergson mette a punto una metafisica evolutiva (L’evoluzione creatrice, 1907), attraverso la quale spiega che vi è uno slancio vitale, un’azione capace di creare la realtà: «Lo slancio di vita di cui parliamo consiste, in sostanza, in un’esigenza di creazione. Esso non può creare in modo assoluto perché trova davanti a sé la materia, cioè il movimento opposto al proprio; ma esso si impadronisce di questa materia, che è pura necessità, e tende ad introdurre in essa la maggior somma possibile d’indeterminazione e di libertà».

La pedagogia dello sforzo di Henri Bergson

Bergson elabora una pedagogia concreta, nel senso che non deve perdersi in enunciazioni astratte ma definire interventi mirati in base al tipo di uomo che si vuole formare. Quindi la pedagogia deve necessariamente partire da una conoscenza approfondita dell’uomo (antropologia filosofica), è deve avere come obiettivo il conseguimento della libertà di ciascuno attraverso cui esprimere la propria personalità.

L’intervento pedagogico deve essere indirizzato allo sviluppo della capacità di apprendimento. Con il lavoro intellettuale, l’insegnante deve rafforzare nell’allievo la forza di volontà, cioè quella capacità di determinare gli obiettivi da raggiungere e, nello stesso tempo, avere la capacità e la forza per raggiungerli. Come si vede, in questa idea è presente il concetto di slancio vitale. Per questo la pedagogia di Bergson può essere definita come “pedagogia dello sforzo“.

Questo sforzo va però riferito ad un contesto naturale, per cui lo sforzo in realtà uno “sforzo senza sforzo”. L’impegno, o lo slancio, è diventato così forte da essere percepito come naturale, da farci intraprendere lo sforzo senza che questo si configuri come fatica.

La pedagogia di Bergson è stata definita anche come realismo pedagogico. Questo perché il filosofo francese auspica una formazione di spiriti aperti, capaci di imparare ad imparare e che armonizzano queste qualità intellettuali con la giustizia, il buon senso che fa individuare il vero e il pratico.

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